Cosa è rimasto del vampiro? A giudicare dalla cannibalizzazione massmediatica del vecchio nosferatu, nulla. Il vampiro stokeriano era l’incarnazione del perturbante freudiano, l’elemento ignoto in una struttura familiare. È l’aristocrazia che non vuole arrendersi alla modernità, è l’intelligenza che non vuole cedere alla morte, è il lato oscuro della rivoluzione industriale che finge di aver dimenticato il medioevo. Due elementi, com’è noto, fondano il mito del vampirismo, il sangue e la notte, l’erotica fisicità dell’umano e l’eclissi del superego che lascia il posto all’inconscio e al sogno, questa grandiosa macchina dell’irrazionale che ogni notte ci deframmenta (in senso informatico, eh!) il cervello. Il vampiro succhia il sangue dei mortali e teme la luce del sole. Il corpo del vampiro non si riflette allo specchio. E non, banalmente, perché è morto (il suo cugino stupido e consumista, lo zombie, può osservare la propria immagine, anche se non la riconosce come propria) ma perché, come diceva Borges, “gli specchi, e la copula, sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini” e come sappiamo il vampiro non può riprodursi. L’aristocrazia perpetuando se stessa si è condannata alla sterilità, come nelle nobili famiglie del Vecchio Continente dove le nozze fra cugini hanno generato mostri. Banalizzando, se l’immortale può riprodursi, il problema delle pensioni raggiunge dimensioni inquietanti.
Questo è un vampiro
Cosa è rimasto, dicevamo? La saga che tanto piace alle ragazzine, quel Twilight che ogni amante dei vampiri dovrebbe aborrire, addomestica il vampiro, gli toglie ogni elemento perturbante e lo reinserisce nell’ordine sociale. Un vampiro che fa dormire tranquilli, che tranquillizza i genitori, che addirittura sceglie la castità. Un rassicurante vampiro-impiegato che ogni sera getta la spazzatura e tiene un Suv parcheggiato in garage. Il vampiro di Twilight non succhia il sangue degli umani e al sole non muore, anzi, brilla come se avesse diamanti sulla pelle. In Twilight il superego rifila un sonoro calcio nel sedere all’inconscio colmo di incubi di Dracula e ritorna a dettare legge. Una legge borghese, dalla sessualità addomesticata e persino dalla scarsa intelligenza (il vampiro Edward frequenta ancora il liceo nonostante abbia circa un secolo di vita: alla settantesima lezione sulla Guerra di Secessione chiunque salterebbe al collo dell’insegnante). Si dice erroneamente che Twilight sia un libro/film per adolescenti, in realtà è un’opera per genitori, terrorizzati dalla sessualità e dall’indipendenza dei figli. Un vampiro serio dovrebbe fare quello che vorrei fare io, e cioè ridurre Edward Cullen a brandelli e darlo in pasto ai suoi lupi davanti agli occhi lacrimosi di quella svenevole sciacquetta che si fa chiamare Bella per poi svuotarle le arterie. Con Twilight del vampiro non rimane neppure il frac ridondante della vulgata lugosiana. Rimangono “a heart that's full up like a landfill, a job that slowly kills you, bruises that won't heal” come scrivevano i Radiohead circa dieci anni fa. No surprises in twilight.